Vaiana, adolescente irrequieta figlia del capo di una tribù di navigatori del Pacifico divenuti da molti anni stanziali, viene “chiamata” dall’Oceano per intraprendere una pericolosa missione: ritrovare il semidio Maui, caduto in disgrazia e confinato su un’isola sperduta, e costringerlo a restituire un prezioso manufatto da cui dipende la vita del suo popolo…

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Gli anni passano, ma la capacità di Disney di reinventare sé stessa e scegliere le persone giuste al momento giusto, lascia sempre interdetti. Prendiamo Oceania (Moana nella versione originale, saggiamente ribattezzata onde evitare accostamenti poco amichevoli): da un lato si recluta il miglior autore di musical presente sulla piazza, Lin-Manuel Miranda, reduce dai trionfi di Hamilton, dall’altra si pescano dal mazzo i due assi responsabili della rinascita della casa a partire dalla fine degli anni ’80, John Musker e Ron Clements, li si fa collaborare e bum! Ecco servito il miglior cine-musical animato del nuovo millennio.

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Sì, ci sono tante (bellissime, in particolare You’re Welcome cantata da The Rock) canzoni in Oceania, e sì, la versione italiana purtroppo impallidisce di fronte a quella originale (non tanto per le interpretazioni, quanto proprio per la musicalità delle parole scelte negli adattamenti) ma ciò non toglie un briciolo di fascino o interesse ad una classica storia di formazione (marittima) che stavolta però viene proposta con una maggiore autoironia rispetto al passato: alcune frecciate sull’essere “principessa” (bastano un vestito e un animale…) e sul fatto che si canta (troppo) spesso non passano inosservati.

Gli autori, consapevoli del fatto che alcuni clichè iniziano a diventare ridondanti e prevedibili, hanno inserito infatti sequenze (l’attacco dei Kakamora) e personaggi (il gallo Heihei, l’Oceano “senziente” che riporta sempre sulla barca Vaiana ogni qualvolta Maui cerca di liberarsene buttandola a mare) completamente non-sense e dotati di una vis comica peculiare e fuori dalle righe.

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La storia, lineare e basica, declinata al femminile (ci sono almeno altre due donne chiave nello sviluppo degli eventi, oltre alla protagonista) segue binari canonici, alternando scene di grande impatto visivo (Oceania è meraviglioso da vedere) a momenti più lenti e intimi, riuscendo anche ad omaggiare l’intrigante e mistica cultura polinesiana. Piace, in quanto sostanzialmente innovativo, il messaggio che vede nell’abbandono, nel viaggio e nella scoperta un’alternativa alla famiglia come unico elemento salvifico per i personaggi. A ben vedere poi, Oceania è anche una bella storia di amicizia tra uomo e donna, elemento che nel mondo dell’animazione non si vede molto spesso.

Insomma, Disney ha realizzato un altro (futuro) classico. E chi li ferma questi?



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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